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Elliot Erwitt, 5 libri per conoscere questo maestro della fotografia



Le fotografie di Elliot Erwitt sono famose per la loro sottile ironia e per mettere in evidenza l'assurdo che si nasconde nelle pieghe della quotidianità. Con il suo sguardo unico, Erwitt ha fatto la storia della fotografia facendo leva su una delle armi più potenti di tutte : il sorriso.

 

Indice dei libri di fotografia Elliot Erwitt recensiti in questo articolo:

 

Elliot Erwitt, la vita e le opere


“Qualche volta ho fatto foto che forse erano utili. Segregazione razziale, guerra fredda... Ma non l'ho fatto in modo premeditato. Le fotografie non si preparano, si aspettano. Si ricevono”


Elliot Erwitt nasce a Parigi nel 1928, da genitori ebrei di origine russa. Vive per anni in Italia, a Milano, finché le leggi fasciste non lo costringono ad emigrare negli Stati Uniti. Qui studia prima fotografia, poi cinema, in due colleges americani: la vocazione per l’arte si presenta sin dalla gioventù, e lo porta anche a lavorare in una camera oscura. Così come Cartier-Bresson, viene arruolato come fotoreporter di guerra, e partecipa al conflitto come assistente fotografo per l’esercito americano in Francia e in Germania.


È a New York che viene in contatto con Robert Capa, Edward Steichen e Roy Stryker. Quest’ultimo lo assume inizialmente nella compagnia petrolifera Standard Oil, per un progetto di costruzione di un intero archivio fotografico; in seguito lo assume per documentare la città di Pittsburgh e la sua evoluzione.


Erwitt comincia a diventare un vero e proprio maestro di stile, conosciuto per il candore e il sottile umorismo che emanano i suoi scatti in bianco e nero: tra le serie più famose ci sono quelle che rappresentano decine di cani diversi, che il fotografo dichiara più volte “assolutamente irresistibili.” L’obiettivo è provare che la stretta relazione tra l’uomo e questi animali domestici è data da un mix di emozione e somiglianza, tanto che spesso i padroni che immortala sembrano identici ai loro cani.


Si unisce alla storica agenzia Magnum Photos nel 1953, e inizia a collaborare come freelance con le principali riviste illustrate del tempo, come Collier’s, Look, LIFE, e Holiday. Diventa presidente della Magnum per tre anni, dove acquisisce la benevolenza di clienti e colleghi per il suo forte senso dell’ironia, che caratterizza anche i suoi lavori.


Egli stesso afferma: “Uno dei risultati più importanti che puoi raggiungere, è far ridere la gente. Se poi riesci, come ha fatto Chaplin, ad alternare il riso con il pianto, hai ottenuto la conquista più importante in assoluto.”


Solo negli anni ’70 riscopre una passione per la cinematografia, producendo lungometraggi, spot televisivi, documentari e film, che gli hanno valso anche il premio Glassmakers di Herat nel 1977. Negli anni ’80 si dedicherà invece alla produzione di numerose commedie. Ancora oggi, all’età di 93 anni, lavora autonomamente per riviste di fotografia e giornalismo. La sua carriera, profondamente influenzata dallo stile di Cartier-Bresson e quindi improntata sul carpe diem -cogliere l’attimo fuggente- possiamo raccontarla con cinque opere molto diverse tra loro.


Elliot Erwitt, i libri per conoscerlo


Personal best presenta scatti effettuati negli anni ’40 e ’50, mai pubblicati fino alla creazione di questa raccolta con l’aiuto della stessa agenzia Magnum. Il libro contiene varie fotografie famose, che ritraggono anche volti noti e amati come quello di Marlene Dietrich. Tutti gli scatti tendono inconsciamente a creare un proprio stile, desiderio condiviso non solo dai famosi colleghi del tempo, ma da ogni fotografo che si volesse distinguere in un periodo in cui la fotografia era praticata da moltissimi. Complice anche il difficile periodo in cui Erwitt lavorò, gli scatti cercano di infrangere tutte le regole di perfetta esposizione e di simmetria, ereditati sia dai primi anni del secolo sia dalla pittura ottocentesca. Questa impostazione risente anche dell’esistenzialismo che caratterizzava l’America di quel periodo, vista come la terra della liberà (land of the free), ma anche come un’immensa distesa di fabbriche e duro lavoro. È proprio questa sensazione noir che affascina ancor oggi l’osservatore. Uno di quei libri di fotografia che non può mancare nella tua libreria.


Elliott Erwitt's New York ed Elliott Erwitt's Paris sono due raccolte che raccontano i due fulcri della cultura anni ’40. Da un lato la “giungla di cemento”, con centinaia di grattacieli che aspirano al cielo e frotte di lavoratori, impegnati nella costruzione di un mondo nuovo; dall’altra il sogno di ogni anima romantica, baluardo di una cultura antica e suggestiva. Erwitt reclama la sua appartenenza a New York, non la sua città d’infanzia, ma quella in cui ha potuto sviluppare la sua arte. Gli scatti sono vari: celebrità conosciute in tutto il mondo come Marilyn Monroe; taxi costruiti appositamente per permettere al passeggero di vedere il panorama, delineato dagli edifici e dai loro punti più elevati (skyline); o ancora facciate con finestre minuscole, ognuna delle quali copre un angusto appartamento familiare, più simile ad una tana che ad una casa. I tributi di Erwitt catturano la diversità che caratterizza questa città; 105 scatti che rivelano momenti frenetici o tranquilli, più una pagina con sedici ritratti. Diverso invece l’approccio a Parigi; la città è stata fotografata migliaia di volte, ma Erwitt fa di tutto per non farla sembrare una cartolina rovinata e decadente rispetto al Mondo Nuovo che si stava costruendo negli Stati Uniti. Non solo la classica Torre Eiffel, ma anche cani, stradine e vicoli che si uniscono in un solo scatto a camerieri indaffarati o a passanti distratti. Molti scatti rispecchiano l’impostazione ironica di Erwitt, e presentano situazioni giocose e inaspettate, senza mai sembrare superficiali o banali; ogni scatto è un’incursione nella commedia umana, burlesca e talvolta tetra come un giorno di pioggia. Non manca nemmeno l’arguzia: secondo l’autore Adam Gopnik i cliché parigini si trasformano in veri e propri giochi di parole visivi.


Roma mantiene anche oggi quell’alone di sacralità e corruzione, mischiando rovine arcaiche con tonnellate d’oro, canti religiosi con grida di protesta. Gli scatti di Erwitt si alternano anche qui tra la serietà di una processione di vescovi e la commedia di un gatto appollaiato con arroganza sulla testa di una statua, dipingendo una città che fa parlare di sé da migliaia di anni. Il settimanale tedesco Die Zeit definisce gli scatti come il ritratto di una città “morta in bellezza”, piena di statue demolite, angeli senza ali e guerrieri di pietra che hanno perso la loro virilità nel corso dei millenni. Erwitt però riesce a non soffermarsi solo sugli aspetti morbosi di Roma: le sue foto sono senza tempo, potrebbero essere degli anni Cinquanta come degli anni Novanta.


Una sola settimana è bastata ad Erwitt per immortalare il viso dei personaggi più influenti del periodo. Inviato dalla rivista Newsweek, per sette giorni vive al fianco di Fidel Castro come suo ospite, e scatta le foto più famose e diffuse del leader, anche insieme a Che Guevara. Più di cinquanta anni dopo, Erwitt approfitta dei nuovi rapporti diplomatici di Cuba con gli Stati Uniti per tornare nell’isola; nuovi scatti di Fidel Castro, ormai anziano, si affiancano alla colorata architettura dell’Havana o a momenti di vita rurale, raccontando un paese distrutto dall’embargo, che ancora oggi fatica a sopravvivere.


Quest’ultima raccolta è una sorta di ritorno alle origini: Erwitt stesso decide di riprendere le fotografie scattate all’inizio della sua carriera, riscoprendo nuovi significati e nuovi punti di vista, al tempo ancora inconsci. Sono foto più tranquille, più silenziose, che accennano appena l’umorismo e la tecnica che caratterizzeranno i suoi lavori successivi. Immagini critiche messe da parte, ritenute non pubblicabili e forse addirittura dimenticate; Erwitt stesso ammette di aver sentito “un battito cardiaco insolito” guardando i suoi primi lavori con occhi nuovi. Tra migliaia di fotografie ne seleziona 170; alcune sono riproduzioni di stampe originali, fatte in laboratorio fotografico, tanto che si vedono ancora i piccoli fori della pellicola. Più avanti il formato si modifica, e sembra appartenere a macchine più professionali – in molte è marcata la firma e la qualità della Leica, e anche gli scatti appaiono più rapidi, addirittura sfocati. Il contenuto dell’immagine diventa più complesso, spontaneo e soddisfacente, fino ad evolversi in fotografie davvero professionali.


F. A.

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