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Storia della letteratura di viaggio


Storia della letteratura di viaggio


Il viaggio stimola da sempre la fantasia degli uomini, sia di chi poi lo intraprende davvero, sia di chi invece preferisce stare alla finestra e nutrirsi delle avventure altrui. Ma, soprattutto, esorta gli scrittori a realizzare opere destinate ad entrare nella storia della letteratura di viaggio.


Una storia che, pensate, getta le sue radici in un passato lontanissimo, al punto che il primo libro di viaggio considerato tale, pare possa essere l'“Epopea di Gilgameš”, ciclo epico di ambientazione sumerica, datato fra il 2600 e il 2500 a.C. Di questa storia, che narra le gesta del re sumero di Uruk, ne esistono ben 6 versioni, ma d'altronde è inevitabile che sia così, visto che per lungo tempo questi racconti vennero tramandati oralmente e, solo nel corso del tempo, vennero poi incisi su tavolette cuneiformi.

Se vi interessa approfondire l'argomento, sappiate che potrete contare su un interessante libro scritto dall'assiriologo britannico Andrew George, che è riuscito nella mirabolante impresa di riunire tutte le tavolette in un unico volume, con testo originale e traduzione a fronte.


Ma Epopea di Gilgameš a parte, non c'è dubbio che per parlare di vera e propria letteratura di viaggio, dobbiamo scivolare avanti nel tempo, arrivando negli anni compresi fra il VIII° e il IX° secolo a.C.


Storia della letteratura di viaggio: le caratteristiche del genere


Le caratteristiche della letteratura di viaggio sono quanto di più fumoso ci sia. E non perché non sia un generare letterario riconosciuto e degno di una sua dignità, ma perché la parola viaggio può essere intesa in modo ben più ampio di un semplice spostamento dal punto A al punto B.


Viaggio fisico, metaforico, fantasioso, simbolico. Viaggio per scoprire, per fuggire, per conoscere, per evadere. Viaggio di lavoro, di piacere, di studio, di esplorazione. Declinare il viaggio nelle sue infinite sfumature è un esercizio quasi impossibile. Non a caso, infatti, esistono moltissime parole che definiscono il viaggio, ognuna con il suo peculiare significato: vacanza, spedizione, pellegrinaggio, impresa, gita, cammino, esilio, escursione, scampagnata, migrazione e chi più ne ha, più ne metta. In fondo, ci sono centinaia di motivi per intraprendere un viaggio e centinaia di modi per compierlo!


Ma se vogliamo fare uno sforzo e definire il genere, allora si può affermare che un racconto, per appartenere al genere letteratura di viaggio, deve avere uno spessore artistico. Ma anche in questo caso, chi può davvero decidere cosa sia artistico e cosa non lo sia? Generalmente si afferma che sfuggono al genere i diari di viaggio o i diari di bordo. Ma siamo sinceri: esistono decine di libri, scritti da viaggiatori e navigatori, che sono rimasti nella memoria e nel cuore di milioni di lettori. Avevano spessore artistico? Forse sì, forse no, dipende dai gusto del critico letterario del momento. E dal momento della recensione.


Forse anche voi, appassionati del genere, non gradireste leggere i romanzi che hanno inaugurato la storia della letteratura di viaggio!



La nascita della letteratura di viaggio


Al di là dei gusti e delle preferenze, su una cosa però sono tutti d'accordo: la nascita della letteratura di viaggio si ha con l'“Odissea” di Omero che, studiata a scuola, forse non ha suscitato il vostro interesse, ma che riletta da adulti, con tutt'altro bagaglio culturale sulle spalle, può riservare molte sorprese.


La trama è nota: il libro narra dei viaggi che Omero compie subito dopo la fine della Guerra di Troia, che a sua volta, invece, è narrata nell'Iliade. Quello su cui invece forse non avete mai riflettuto abbastanza è che il protagonista si configura come il primo viaggiatore che, grazie alle sue abilità, riesce a governare il caos che domina il mondo. L'archetipo perfetto del forestiero, del visitatore, che incontra e si scontra con l'ignoto, nel tentativo di ricondurlo a qualcosa di più famigliare. In questo sforzo, matura, cresce, si eleva.


Un viaggio di fantasia, quindi, come quello che in epoca successiva viene scritto dal poeta greco Apollonio Rodio, il quale con il poema “Le Argonautiche”, racconta del mitico viaggio di Giasone a bordo della nave Argo. Un'opera dalle atmosfere cupe e caratterizzata in senso esistenziale, che rappresenta una vera novità nel panorama letterario del genere. Libri di viaggio, certo, ma forse ancora troppo lontani dalla sensibilità dei lettori del Ventunesimo secolo, per poter collimare appieno con i nostri gusti.


Anche nei primi anni del Medioevo, le cose non andranno molto diversamente. Libro di viaggio per eccellenza del periodo è senz'altro la “Divina Commedia” di Dante, composta fra il 1304 e il 1321: un pellegrinare arduo, faticoso e denso di significati allegorici, che il protagonista compie, dall'Inferno al Paradiso, passando per il Purgatorio, per elevarsi e arrivare pronto al cospetto di Dio. Anche quest'opera l'avrete studiata a scuola e di sicuro non ne avete un ricordo esaltante.


Ma spostandoci di circa duecento anni in avanti, ci troviamo di fronte alla pubblicazione de “L'Orlando Furioso”: non vi fermate all'apparenza, questo è a tutti gli effetti un libro di viaggio! Forse non lo sapete, ma tra le pagine, troverete il racconto di Ruggero, che arriva su un'isola incantata abitata dalle fate, a cavallo di un ippogrifo.


Un viaggio in puro stile fantastico! E se vi dicessimo che quest'opera può essere considerata un'antesignana della moderna fantascienza, ci credereste? Se la risposta è no, leggetelo: quando arriverete al capitolo in cui Astolfo si reca sulla Luna, vi ricrederete!



I grandi viaggiatori del Medioevo e del Rinascimento


Intendiamoci: sebbene la storia della letteratura di viaggio tenga conto anche delle opere scritte nel Medioevo, queste sono poche. D'altronde in quest'epoca non ci si muoveva poi molto. Gli unici che viaggiavano, a volte anche per molti anni e decisamente lontani da casa, erano i pellegrini, che affrontavano anche diversi chilometri per dimostrare la loro devozione, i missionari impegnati nella diffusione del credo cristiano e i mercanti, sempre in cerca di nuove vie commerciali.


Viaggiare all'epoca era una vera e propria avventura, perché le strade erano poche e piene di pericoli. Inoltrarsi in lande sconosciute poteva voler dire imbattersi nei briganti, affrontare condizioni meteorologiche avverse e affrontare pericoli inenarrabili, cosa ancor più vera per i navigatori, che affrontavano mari ancora per lo più sconosciuti.


I resoconti di questi viaggiatori, quindi, acquistano un valore che va oltre il loro spessore letterario ed artistico: li ricordiamo perché rappresentano la testimonianza di personaggi che hanno saputo affrontare l'ignoto, spinti dalla sete di conquista e dal fascino della scoperta.

Scritto fra il 1271 e il 1295, “Il Milione” è uno di questi libri. Il soggetto dell'opera è il celeberrimo viaggio di Marco Polo in Cina, diciassette anni di peregrinazioni in terra asiatica, di cui viene riportato ogni minimo dettaglio. Questo fatto ne fa una lettura interessante, perché non esistono molte altre testimonianze che documentino con tale dovizia di particolari i paesi e la cultura di paesi tanto lontani.


Ciò che non tutti sanno è che l'opera non fu scritta dal grande viaggiatore veneziano, ma da un autore di romanzi cavallereschi, Rustichello da Pisa: trovatosi in cella con Marco Polo, durante la prigionia nel carcere di Genova, infatti, accettò di trascrivere sotto dettatura la grande avventura asiatica del mercante più famoso di tutti i tempi. L'approccio alla stesura del libro è quello tipico medievale, a metà strada fra divulgazione e rigorosa trasposizione di ogni singolo dettaglio, dalla battaglie, alle usanze dei locali.


Perché ricordiamo questo libro nella storia della letteratura di viaggio? Perché nonostante il momento storico in cui è stato scritto, rivela tutta la modernità di Marco Polo, che non si accontenta di raccontare una storia secondo il suo personale vissuto, ma si impone di essere obiettivo e imparziale, anche di fronte una cultura che, certamente, era molto lontana dalla sua. Un approccio quasi da antropologo, in un momento in cui questa scienza era ancora ben lontana dal nascere.


Un paio di secoli più tardi è la volta del “Giornale di bordo” di Cristoforo Colombo, di cui però è bene che sappiate che ciò che arriva a noi non è l'originale, in quanto questo andrò perduto. La voce dell'ammiraglio italiano, però, riesce ad attraversare le spire del tempo e raggiungerci grazie al vescovo spagnolo Bartolomé de Las Casas, che nella sua opera “Brevissima relazione della distruzione delle Indie”, riporta stralci e citazioni tratte dal diario di Colombo, e a Fermando Colombo, figlio del navigatore, che nello scrivere la biografia del padre, riporta anch'egli numerosi passi delle sue testimonianze.


La storia è nota: Colombo riporta per filo e per segno sia la navigazione, sia la scoperta del nuovo continente, che lui fino alla fine continuò a scambiare per l'Asia. Tra le sue annotazioni trovano posto la minuziosa descrizione di piante e animali, ma soprattutto degli usi e costumi dei nativi del luogo, che in conseguenza della colonizzazione, vennero convertiti al Cristianesimo, ma soprattutto decimati. Insomma, una testimonianza di prima mano dei delitti commessi dagli spagnoli nel loro tentativo di conquistare nuove terre e impadronirsi delle enormi ricchezze di quel continente.


E che dire di “Relazione del primo viaggio intorno al mondo” di Antonio Pigafetta? È il resoconto completo della storica e drammatica circumnavigazione del globo di Ferdinando Magellano, uno dei più grandi navigatori di tutti i tempi. Leggere questo libro è come fare un viaggio nel tempo: la capacità di questo navigatore e geografo veneziano, vi lascerà a bocca aperta. Quelle sì, che erano avventure!


L'opera riporta notizie su flora, fauna e abitanti, ma di nuovo, si concentra sugli aspetti culturali delle popolazioni incontrate, che in un giro del mondo sono davvero tante. Immaginate un pugno di uomini che per la prima volta si trova faccia a faccia con popolazione primitive, che non hanno mai visto uno straniero. Pensate cosa dovevano aver provato quei marinai, su quelle navi che erano poco più di un guscio di noce, in balia di oceani mai navigati.


Cercate di immedesimarvi in quei superstiti che, dopo aver perso la maggior parte dei loro compagni, lottano strenuamente per tornare a casa. Forse lo stile non è propriamente “moderno”, ma il tema è avvincente come pochi!


La letteratura di viaggio nel Settecento


Con l'arrivo dell'Illuminismo, tutto cambia. Con la voglia di evolversi, di abbandonare per sempre le superstizioni medievali e con il desiderio di approcciarsi all'esistenza mediando la realtà solo attraverso la ragione, anche il viaggiare diventa altro.


Ora non sono più solo i mercanti, i soldati, il clero e i pellegrini a solcare il continente europeo, ma intere schiere di giovani, mossi dal desiderio di conoscere e di aprirsi all'arte, alla cultura e alla bellezza in senso lato. È l'epoca del Grand Tour, una sorta di viaggio di formazione, che i giovani facoltosi provenienti soprattutto dal Nord Europa, facevano nel nostro paese, attratti tanto dalla nostra arte, quanto dalla possibilità di soggiornare in città come Roma o Napoli, dove si riuniva tutto il bel mondo della letteratura e della scienza dell'epoca.


È in questo periodo, infatti, che la letteratura di viaggio raggiunge il suo maggior successo. Troppa è la voglia di conoscere, troppo grande è il desiderio di aprirsi al mondo e alla modernità, al punto che Daniel Defoe, l'autore di “Robinson Crusoe”, decide addirittura di codificarne le regole fondamentali, che raccomandavano a tutti gli autori che volessero cimentarsi con questo genere letterario, di prestare grande attenzione alle leggi, agli usi, ai costumi, all'economia e all'arte dei paesi visitati e di lasciare a margine i propri commenti personali: il vero protagonista doveva essere il viaggio stesso.


Inutile che storcete il naso: erano illuministi e credevano che anche la letteratura dovesse piegarsi a norme stringenti e universalmente riconosciute!


Fra tutti vogliamo quindi ricordare quindi due opere che, seppure meritano di rientrare nella storia della letteratura di viaggio, se ne discostano. Non perché non appartengano al genere, ma perché gli autori hanno volontariamente infranto le regole, con un insolito atteggiamento dissacrante e provocatorio.


Il primo libro è “Viaggio sentimentale”, di Laurence Sterne, che con voce ironica e irriverente affronta il tema del Grand Tour. Qui le regole decodificate da Defoe saltano tutte: rimangono le descrizioni dei luoghi, certo, ma come promesso dal titolo, l'approccio è più intimistico, più personale. Qui il vero protagonista è il viaggiatore, che si riappropria del privilegio di raccontare la realtà per come la percepisce e non per come la vede. Il risultato è quindi un affresco dai contorni incerti, perché non sempre è chiaro quali pagine appartengano a un vero e proprio diario di viaggio e quali scivolino nella fiction.


Il secondo libro che vi invitiamo a leggere, se non l'avete già fatto, visto che è un classico, è “I viaggi di Gulliver”, pubblicato da Swift nel 1726. Una storia fantastica, con la quale l'autore ironizza pesantemente sugli usi e i costumi dei britannici, al punto da rendere questo libro una vera e propria critica satirica della corte inglese e delle tradizioni della Gelida Albione.

Di tutt'altro genere è invece “Lettere sopra l'Inghilterra, Scozia e Olanda”, di Luigi Angiolini.


Perché ve lo consigliamo? Perché come “Relazione del viaggio in Francia e Spagna” di Giovanni Battista Malaspina, vi chiarirà come i ritardi di cui soffre il nostre paese non sono una novità: nel raccontare i loro viaggi, infatti, entrambi gli autori non possono fare a meno di sottolineare l'inaccettabile divario culturale ed economico che separa l'Italia dal nord Europa, lamentandosi delle inevitabili conseguenze politiche, morali e sociali.


Il viaggio nel Romanticismo


Nell'Ottocento certo, si viaggia ancora, ma l'attenzione degli intellettuali si sposta verso l'animo umano e il libri di viaggio, risentendo dell'influenza del Romanticismo, diventano più intimisti, più orientati al viaggio metaforico, allegorico, che inizia e finisce all'interno di se stessi.


C'è una sorta di sprofondamento nell'Io, di ripiegamento sulle proprie emozioni, di annegamento in un certo disagio, Un male di vivere splendidamente raccontato da poeti come Baudelaire, che nel testo di chiusura de “I fiori del Male”, intitolato “Il viaggio”, considera il viaggio come un'inutile ripetizione, come qualcosa che non aggiunge nulla alla condizione umana e che non lenisce la monotonia del vivere. E che acquista senso solo quando porta alla morte. D'altronde, si tratta di Baudelaire, che non era certo un'anima allegra!


E non lo era nemmeno Rimbaud, che come Baudelaire è oggi considerato uno degli autori di spicco dei cosiddetti poeti maledetti, provocatori, cupi, pessimisti, asociali e autodistruttivi. “Il Battello Ebbro”, una delle sue opere più famose, parla sì di un viaggio, ma tetro, allucinato, noncurante della sua destinazione. Descrive dettagliatamente il mare del nord, i Maelstrom, il paesaggio, ma ciò che fuoriesce tra le righe è soprattutto la sua anima, inquietante ed inquieta, perturbata e dominata da paure profonde. Ma d'altra parte, l'unico vero viaggio al quale sono interessati i poeti del Decadentismo è quello dentro se stessi. E se dentro di essi ci fosse stata quiete e serenità, forse non avrebbero mai sentito la necessità di farlo, quel viaggio.


Nonostante ciò, permangono ancora uomini che amano viaggiare per il gusto di farlo, per amore della scoperta e ne troviamo traccia in opere come “Sette anni nel Sudan egiziano” di Romolo Gessi o in “Yemen, un viaggio a Sana'a” di Renzo Manzoni, il nipote del grande scrittore italiano, che racconta in modo estremamente minuzioso gli anni trascorsi in un paese che, all'epoca, era ancora praticamente sconosciuto ai più.


A metà fra reportage giornalistico e romanzo è invece “Sull'oceano” di Edmondo de Amicis, forse il primo a raccontare i drammatici viaggi di chi è costretto ad emigrare, andando incontro a un destino incerto e non sempre migliore di quello che ha lasciato. Non deve stupire: nell'Ottocento prende piede il Verismo e l'attenzione ai temi sociali diventa un imperativo per tutti gli intellettuali dell'epoca.


Ma questa fase durerà poco. Il Novecento sta per affacciarsi alle porte e a partire dall'inizio del nuovo secolo, il viaggio verrà reinterpretato in una nuova chiave, più moderna, ma anche più inquieta.


Novecento: un nuovo modo di affrontare il viaggio


Con la modernità, finiscono i grandi viaggi, spariscono i coraggiosi esploratori, si ammutoliscono gli avventurieri. Ma al contempo, la letteratura di viaggio si prende una rivincita. Sembra un paradosso, ma non lo è.


Quello che succede è che, come intuito da Baudelaire nel secolo appena finito e ripreso dal grande antropologo C. Lévi-Strauss in “Tristi Tropici”, non c'è più nulla da scoprire. Tutto è manifesto e, anzi, la mancanza di mondi da esplorare è ciò che rende l'uomo un po' più povero intellettualmente, un po' più rassegnato a una quotidianità ormai praticamente uguale per tutti. Ovviamente il ragionamento va preso alla larga: non è proprio così, perché nei primi anni del secolo le popolazioni primitive sono ancora molte e molto ancora c'è da scoprire, ma se prendiamo il ragionamento in senso generale, ci accorgiamo che fila. Eccome se fila!


Gli ultimi veri scrittori di viaggio, per come questo era stato considerato fino ad allora, sono personaggi come Chatwin, che ancora si ostinano a percorrere strade sconosciute, attratti dalle periferie del mondo e da esperienze inusuali. In questo senso, il più celebre libro dell'autore, “In Patagonia”, rappresenta un gioiello tutto da scoprire, pagina dopo pagina.


Ma fino alla metà del secolo, sono soprattutto i giornalisti a rendersi protagonisti della letteratura di viaggio. Un po' per l'innata curiosità di questi professionisti, un po' per lavoro, sono infatti ancora gli unici che si avventurano in luoghi davvero sconosciuti: Luigi Barzini con “Il libro dei viaggi” e Virgilio Lilli con “Penna vagabonda” sono forse gli ultimi a scrivere le proprie opere a partire dai loro taccuini di viaggio, mantenendo una sincerità alla quale, forse, oggi non siamo più abituati.


Ma dopo la metà del Novecento, succede qualcosa. Si affaccia una nuova generazione di giovani inquieti ed irrequieti, per i quali il viaggio diventa al tempo stesso sinonimo di ribellione e ricerca. È il momento della beat generation, che a partire dalla critica al capitalismo e al perbenismo borghese, cerca un nuovo modo di vivere. E di scrivere.


“Sulla strada” di Keouac è uno spartiacque, oltre il quale si affacceranno una stuola di scrittori ben dotati, che inaugurano sia un nuovo stile di viaggio, sia un nuovo modo scrivere.


Veloce, sincopata e priva di punteggiatura “come la vita”, la scrittura diventa movimento dell'anima, l'unico modo per restituire al lettore le emozioni più profonde dell'autore. Il viaggio, infatti, è soprattutto all'interno di se stessi, un modo per evadere dalla realtà alla ricerca di qualcosa che abbia maggior significato.


Allen Ginsberg e William Burroughs, oltre ad essere intimi amici di Kerouac e compagni di scorribande, sono altri due prolifici autori dell'epoca, che come pochi altri danno voce a una ribellione collettiva che, pochi anni dopo, troverà voce nei canti e negli slogan dei cosiddetti Figli dei fiori.


Di questo periodo vale la pena leggere almeno due libri, che se anche non rimarranno nella storia della letteratura di viaggio, rendono più di qualsiasi altra opera il sentire alternativo dei giovani di quegli anni. Il primo romanzo è “Katmandu, il grande viaggio”, prima e ultima opera di Charles Duchaussois, che prima hippy, poi eroinomane, si mette in cammino per l'India, per finire in Nepal, da dove rientrerà in Francia appena in tempo per salvarsi la vita.


Un viaggio alla scoperta della penisola indiana, ma anche un viaggio dentro se stesso e nel mondo della droga, che l'autore tratteggia con un linguaggio duro, sincero e privo di qualsiasi inutile moralismo.


La seconda opera, anch'essa autobiografica, è uscita nel 2003, ma i fatti a cui fa riferimento lo scrittore accadono nella seconda metà del Novecento, quando l'autore, rapinatore, eroinomane, guerrigliero e chi più ne ha, più ne metta, evade dal carcere di massima sicurezza dello stato di Victoria, in Australia.


Gregory David Roberts si reca anch'egli verso est, fino a raggiungere Bombay e si troverà coinvolto in affari di tutti i tipi, dall'uso di droga al contrabbando di armi, fino all'epilogo inaspettato. "Shantaram" é un romanzo autobiografico duro, avvincente e ben scritto. Un libro perfetto per innamorarsi dell'India


Il secolo appena terminato, però, ci ha lasciato anche un'altra tipologia di libri di viaggio: quelli fantastici, in cui cui gli autori riescono a dare fondo a tutta la loro immaginazione e creatività, creando mondi al contempo realistici e fantasiosi.


Letteratura fantastica: tra visione e magia


Spesso considerati come libri per bambini, i romanzi che appartengono al filone della letteratura fantastica sono, invece, entrati a pieno titolo nella storia della letteratura di viaggio. Perché no? Questo si compie in mondi immaginari, ma non per questo perde il fascino dell'avventura e della scoperta.


Anche se in passato non sono mancate opere che si rifacevano all'immaginario, non c'è dubbio che il primo libro del genere ad aver attirato l'attenzione di critici ed estimatori possa essere considerato “Ventimila leghe sotto i mari”, di Jules Verne, apparso alla fine dell'Ottocento. Un classico della letteratura fantascientifica, che narra i viaggi del Capitan Nemo a bordo del suo sottomarino Nautilius, che anticipa con incredibile verosimiglianza molte delle caratteristiche dei moderni sommergibili.


E che dire del Ciclo della Fondazione di Asimov? Il padre della moderna fantascienza, fra il 1951 e il 1953, scrive tre romanzi destinati a rimanere nella storia della letteratura. Seguiti da prequel e da successivi romanzi, questi raccontano la storia di un ipotetico Impero Galattico, ma vogliono dirci molto di più: parlano dello scontro fra ragione e religione, dei rapporti fra il centro del mondo e le sue periferie, dei pericoli della guerra e dei rapporti fra popoli. Un inno alla pace, raccontato con la proverbiale maestria del maestro della fantascienza.


Prima di chiudere questo breve excursus nella storia della letteratura di viaggio, non possiamo dimenticare “Il Signore degli anelli” di Tolkien, reso immortale dalle sue trasposizioni cinematografiche di successo, che sono riuscite nell'ardua impresa di restituircene la magia e il fascino suggestivo.


Ambientato nella Terra di Mezzo, il libro narra il viaggio di un'improbabile compagnia, composta da uomini, hobbit, elfi e nani, che uniti dallo scopo, tentano di combattere il male rappresentato dall'oscuro signore di Mordor. Un viaggio avventuroso e pieno di insidie, reso più confortevole dal calore dell'amicizia e dalla lealtà.


Dopo questa corsa attraverso la storia della letteratura di viaggio, una cosa l'abbiamo capita: non è davvero importante che il viaggio sia immaginario, reale o fantastico. Ciò che affascina e convince è la voglia di scoprire, di conoscere, di cambiare di tutti gli autori di cui abbiamo ricordato opere immortali.


Perché come diceva Jack Kerouac, “Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati. Dove andiamo? Non lo so, ma dobbiamo andare”.


Buona lettura e buon viaggio!


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